Un ambiente
che Guareschi definisce Mondo Piccolo,
idealmente paradigmatico della realtà rurale italiana del dopoguerra.
L’altro
giorno hanno ritrasmesso un film che molti conoscono: Don Camillo, film noto
per le vicissitudini tra lui e l’amico-nemico Peppone che si svolge nei luoghi Brescello
Viadana, Gualtieri, sulle rive del grande fiume: il PO
Al di là
delle schermaglie politiche tra Don Camillo e Peppone (sempre molto
interessanti) l’intenzione è sottolineare alcuni aspetti, marginali e di
contorno alla storia in sè: sono gli scorci di agricoltura di pianura del
dopoguerra.
Distese di
piantagioni di pioppi lungo il Grande Fiume
Fugaci
inquadrature dal treno della pianura e dei suoi campi solcati da aratri trainati
da buoi guidati dall’occhio vigile e dalle robuste braccia del contadino
Stalle dove
la forca era l’attrezzo principe per spostare il letame, preparare la lettiera
e distribuire il fieno
La mungitura
delle vacche con mammelle piene di latte fatta
da mani esperte e callose
Feste di
paese in campagna dove il ballo, il canto, le mangiate e il buon vino non
potevano mancare
Poche
inquadrature di campi arati, colture di viti, alberi da frutto di quei tempi
del dopoguerra, possono farci venire alla memoria le tante tradizioni e metodi
di lavoro dei contadini in via di estinzione, che tanto hanno fatto per
mantenere sano il prodotto della terra senza scardinare il sottile equilibrio
tra esigenze del nostro mantenimento e sfruttamento delle risorse della natura.
Mai come in
questo momento le tradizioni, i vecchi mestieri, l’utilizzo di prodotti che la
natura ci dona, vengono a sostegno di chi comincia a nutrire dubbi sulla
sostenibilità di questa società accelerata.
Non è
reazione o conservazione, ma voglia di riscoprire valori dimenticati, tecniche
e manualità di una volta.
Tra le
tradizioni agricole si è “quasi” persa la tecnica della legatura delle viti con
giunchi di salice.
Durante
l’inverno, le piante di salice, coltivate lungo i fossi, vengono capitozzate e
da questa lavorazione si ottengono legacci di due misure: i giunchi più grossi
e robusti, che servono a legare le vigne ai pali e quelli più sottili, usati
per fissare i tralci ai fili.
Oltre che
fare legacci, il salice può essere utilizzato per fare recinti, capanne,
cestini...
Dal salice si possono ricavare poi grossi pali che, messi a bagno per un certo periodo in una soluzione di acqua e solfato di rame, venivano utilizzati come sostegni delle viti o come robusti manici (a buon mercato) di vanghe, forche, zappe etc..
L’utilizzo del salice in agricoltura, è una pratica molto "bio", facilmente utilizzabile nelle piccole realtà agricole, che consente una gestione eco-sostenibile e - allo stesso tempo - di tramandare di generazione in generazione questa antica tradizione contadina.